Area Psico-Sociale

Ascoltare, accettare e comprendere l’emozione

Come “Centro per la Famiglia” vi proponiamo questo articolo che pone l’attenzione sull’importanza della relazione empatica tra genitori e figli.

Articolo tratto dal sito www.uppa.it, scritto da Giuditta Mastrototaro (Pedagogista), pubblicato il 19 Dicembre 2018.

 

Come impariamo a camminare e a correre, così con lo sviluppo cognitivo impariamo ad affinare le nostre competenze empatiche

Non si può acquistare, né acquisire e né guadagnare: l’empatia si trova in ognuno di noi fin dalla nascita. Già nella nursery se un neonato piange, poco dopo anche gli altri lo seguiranno. Con il crescere, poi, evolvono anche le strategie empatiche del bambino: a un anno d’età, di fronte a un compagno che piange, potrebbe succhiarsi il pollice o abbracciare la mamma come se anche lui stesse soffrendo; a 2 anni e mezzo, visto che sarà già in grado di comprendere il dolore altrui e di distinguerlo da sé, potrà consolare il compagno, magari facendogli una carezza o portandogli un gioco.

Emozionarsi fin dalla nascita

Se diamo importanza fin dalla nascita al suo “sentire”, lo aiuteremo a crescere sul piano empatico. Al contrario, se non ne teniamo conto, il bambino svilupperà un’insensibilità verso i sentimenti altrui.
Se un neonato smette di piangere autonomamente, senza ricevere attenzioni, ciò non significa che si sarà calmato. Le ricerche, anzi, dimostrano che in questo caso gli rimarrà uno stato di allerta e di tensione dovuto a un’elevata concentrazione di cortisolo, adrenalina e altri elementi che creano una tossicità chimica da stress nel cervello.

Le nostre reazioni

Come spiega lo psicologo Daniel Goleman: «L’empatia dei bambini si forma osservando il modo in cui gli altri reagiscono alla sofferenza altrui». Dunque, essere in grado di ascoltare le emozioni del nostro bambino e degli altri è una competenza importante. Evitiamo di minimizzare o di reagire con frasi del tipo: «Non piangere che non ti sei fatto niente!» o «Ecco, così impari a non salire sul tavolo!». Se poi desideriamo che nostro figlio raggiunga l’autocontrollo, dobbiamo essere i primi a mostrargli come si fa. Nel caso, ad esempio, rompa un vaso, possiamo esprimergli come ci sentiamo in quel momento: «Ora che vedo il vaso rotto a terra, mi sento molto dispiaciuta…» o possiamo empatizzare con lui: «Ti sei spaventato nel sentire il rumore del vaso che si rompeva?». In entrambi i casi, lasciamo che l’accaduto diventi uno strumento di apertura e di crescita per la relazione genitore-figlio. Non sappiamo cosa accadrà dopo, diamoci la possibilità di entrare in relazione con lui per scoprirlo. Reagire invece con espressioni come «Non si buttano le cose per terra!», vuol dire chiudere subito la conversazione.

Sintonizzazione emotiva

Lo psichiatra e psicanalista Daniel Stern parla di “sintonizzazione emotiva”, ossia la capacità di ascoltare, accettare e comprendere l’emozione. Si tratta di creare un ambiente e un clima adatti a favorire un rapporto fondato sulla fiducia reciproca. Questo vuol dire saper aspettare prima di intervenire istintivamente, essere fiduciosi che il nostro bambino saprà imparare dalle sue esperienze, offrirgli l’opportunità di trovare le sue soluzioni.
Favoriamo l’empatia quando riconosciamo le preziose informazioni che le emozioni ci danno: la paura ci dice che abbiamo bisogno di sentirci più sicuri prima di affrontare qualcosa; la rabbia, che non accettiamo una certa situazione e che desideriamo cambiarla; la gioia e la felicità, che i nostri bisogni sono stati soddisfatti. Possiamo mostrare empatia attraverso l’intensità della voce («Caspita! Sei proprio arrabbiato») o dando attenzione, comprensione e significato a quello che il bambino prova in quel momento («Volevi assolutamente la banana con la buccia. Quando invece hai visto che l’ho sbucciata, ti sei arrabbiato»).

Per la loro calma interiore

Ostacoliamo invece l’empatia quando lasciamo il piccolo da solo con le sue emozioni. Un bambino intrappolato nella propria rabbia fa molta fatica a calmarsi o a frenare i suoi impulsi e, a differenza di quello che comunemente si crede, incitarlo a sfogarsi lanciando un cuscino o percuotendo un oggetto è controproducente. A tal proposito, infatti, la psicoterapeuta Margot Sunderland afferma: «Non fareste altro che rinforzare il circuito della rabbia nel suo cervello animale e sbilanciare ulteriormente il suo sistema di stimolazione corporea». Al contrario, i bambini molto arrabbiati hanno bisogno di farsi consolare e di ritrovare la loro calma interiore attraverso la capacità di ragionare, di usare la logica, la creatività. Quando un bambino percuote un oggetto in preda alla rabbia, non è efficace reprimere quello che prova dicendo: «Non si fa!». Meglio tradurre in parole il suo sentimento: «Vedo che ti senti molto arrabbiato». In questo modo gli diamo la possibilità di ricollegarsi a ciò che sente, di tradurre i suoi vissuti e di parlarci della sua frustrazione. Questo lo aiuterà a trovare una modalità di espressione di sé, per mostrare la sua rabbia senza necessità di alimentarla.

Il contatto fisico

Le neuroscienze ci confermano che il contatto fisico (il tenere in braccio, il gioco corporeo, il massaggio) unito all’uso di parole empatiche (definite “carezze emotive”) aiutano il bambino a calmarsi e permettono a sostanze chimiche come l’ossitocina (“l’ormone dell’amore”) di inondare il suo cervello. Non è mai troppo tardi per mostrargli attenzione, cura della relazione, empatia e amore. Ciò lo aiuterà a superare l’ansia e a regolare le emozioni più forti.

In empatia con noi stessi

Un genitore che si stressa, si stanca o si spaventa per le reazioni del figlio non è certo d’aiuto. Per questa ragione, ancor prima dell’imparare a essere empatici con i nostri figli, è importante apprendere come esserlo con noi stessi, collegandoci ai nostri sentimenti e ai nostri bisogni: più ci alleneremo a saperli riconoscere, più riusciremo a farlo con i nostri figli. Ciò consentirà un’autentica connessione empatica, fondamentale per costruire relazioni sane con le persone a cui vogliamo bene.

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