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Se i bambini non sanno più giocare “come se”. Carenza di gioco simbolico e problematiche in età adulta.

Articolo tratto dal sito www.magazine.centrodivenire.net, autore Francesco Panzieri 19 Marzo 2019.

Ormai da tempo la psicologia e l’antropologia parlano del gioco come di un’attività estremamente preziosa, che fin dalla preistoria permette all’uomo di adattarsi in modo efficace al proprio ambiente di vita.

Quando parliamo di gioco simbolico ci riferiamo a quella forma di gioco in cui il bambino – ma non solo – utilizza un oggetto al posto di un altro, finge di essere qualcuno che non è, oppure inventa storie che hanno come protagonisti bambole o pupazzi. Il gioco simbolico si basa dunque sulla capacità di immaginare oggetti che di fatto non ci sono, utilizzando al loro posto altri oggetti che hanno caratteristiche simili. Proprio il giorno precedente a quello in cui scrivo, un mio pazientino di otto anni mi ha fornito un ottimo esempio di gioco simbolico, quando mi ha sfidato a duello utilizzando al posto delle spade i bastoncini dello shangai!

Quella di giocare simbolicamente è un’abilità che si osserva nei piccoli a partire dai due anni d’età, ed a cui già lo stesso Freud aveva attribuito importanti funzioni preventive della sofferenza e del disagio psicologici, prima fra tutte quella della ricerca e preparazione della propria identità: fingendo di essere qualcuno che non è il bambino si allena ad assumere l’identità che vuole assumere per il futuro. Esempio tipico è quello del bambino che indossa i vestiti del genitori, ed assaggia, attraverso il divertimento, ciò che lo attenderà una volta diventato grande.

Allo stesso modo, attraverso il gioco simbolico, il bambino può rappresentare eventi che gli hanno provocato rabbia o angoscia, nel tentativo di elaborarli e renderli più tollerabili: pensiamo a quando i nostri piccoli si divertono ad impersonare una maestra particolarmente severa, oppure un dottore intento ad effettuare un’approfondita visita medica. Mettendo in scena canovacci di tal sorta, i bambini li rendono più tollerabili, e si riappropriano della sensazione di controllo che, a causa della spiazzante paura o angoscia, temevano d’aver perduto. Inventare e rappresentare storie è dunque un eccellete canale per veicolare emozioni ed affetti dolorosi o poco comprensibili, e dunque difficili da esprimere in modo diretto, senza la mediazione di scenette e storie.

Il gioco simbolico è anche risorsa preziosa per lo sviluppo intellettivo e la conoscenza della realtà: è infatti il contesto privilegiato in cui i bambini possono esplorare il mondo in modalità sicura e protetta, alimentando anche il proprio senso di efficacia personale e la propria autostima.

Sempre più di frequente mi capita di conoscere bambini che non sanno giocare simbolicamente, e che quando provano un’emozione troppo dolorosa ricorrono ad agiti aggressivi e violenti per esprimerla, o che la dissociano, focalizzandosi in modo eccessivo sull’intelligenza e comportandosi da pseudo-adulti intellettuali. Penso poi ad adolescenti tra i cui ricordi d’infanzia non emergono scenari in cui cavalieri o suepereroi si sfidano o duello, e che nel presente non sembrano per nulla in contatto con le proprie emozioni, al punto che, pur di sentirne qualcuna, ricorrono all’uso di sostanze (chimiche o tecnologiche) o a gesti autolesivi. Bambini ed adolescenti che funzionano in tal modo, e che non giocano con i simboli, rischiano di venire sopraffatti dalle proprie emozioni, al punto da evacuarle come bombe a mano o anestetizzarle in modo chimico ed asettico, perpetuando tali abitudini anche una volta diventati grandi. Anche la schizofrenia adulta può esprimersi come assenza di capacità simboliche: le persone definite schizofreniche, il cui esame di realtà è gravemente deteriorato, spesso interpretano alla lettera detti o metafore, oppure non ne comprendono per nulla il significato.

Ma come agire in ottica preventiva? Come evitare che i bambini rinuncino al gioco simbolico e dunque ad un canale espressivo imprescindibile per lo sviluppo affettivo e cognitivo?

Utile è ad esempio abituare il bambino al racconto e alla lettura di fiabe e storie, magari prima dell’addormentamento: la fiaba prima di andare a nanna rende infatti più tollerabile l’esperienza della separazione che l’accesso al sonno porta con sé. È poi efficace alternare la proposta di giochi cognitivi e competitivi con quella di oggetti semplici e materiale di recupero, stimolando il bambino a creare con questi oggetti e giocattoli, in modo che possa nutrire la propria capacità di immaginare e dare forma creativamente a ciò che i suoi desideri gli suggeriscono.

Infine, sia a scuola che a casa è utile la presenza di uno spazio dedicato al gioco simbolico, magari con una casetta, o un mobile dei travestimenti e tutti gli accessori necessari per consentire al bambino di immaginare in libertà di essere chi vuole essere attraverso stoffe, nastri, cappelli, mantelli, borse, burattini, bambole e pupazzi, oppure pattini, posate, pentole e chi più ne ha più ne metta!

Il gioco simbolico è l’unico gioco di fatto privo di regole: da praticante amatoriale di teatro, – unica forma di gioco di finzione concessa a noi adulti – credo che anche ai grandi faccia bene ogni tanto liberarsi dalle richieste, dalle pressioni e dai limiti che la società ci impone, concedendoci una piccola fuga nel mondo della fantasia e della creatività.

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